Un brano di Giacomo Leopardi che celebra il “metodo come forma dell’etica”

Il “metodo come forma dell’etica” racchiude il senso del brano che  Giacomo Leopardi scrive riflettendo sull’amore impossibile, sulla vanità di ogni illusione. La passione non corrisposta per Fanny Targioni Tozzetti (bella, colta e sensibile animatrice culturale fiorentina del tempo)  ha dato origine alla raccolta di poesie inserite nel “Ciclo di Aspasia”. Con questo, procediamo nel pubblicare sintesi rappresentative dell’evento, tenutosi a Pescara il 31 Marzo scorso, dal titolo “e naufragar mi è dolce in questo mar. Leopardi cosmicomico” che Valerio Di Vincenzo, Olos Multimedia e Achasalutis hanno organizzato con l’ausilio di Filippo Montefusco (conduttore), Marcello Nicodemo, Tiziana Di Tonno e Alessio Tessitore.

Leopardi è il nostro testimonial della possibilità di “disingannarsi dal disinganno”, della capacità di “anestetizzare” la sofferenza e mitigare l’urgenza esistenziale sublimandole nel sentimento d’amore ( non carnale, confessa l’innamorato, ma “platonico”), per il “bello” che (anche per lui) è l’altra faccia del “buono”.

Ciò, per il nostro Giacomino, a costo di accettare definitivamente una ritirata dalla sua dignità di uomo sessuato e, soprattutto, di scoprire una volta per tutte che la metafisica e la “ragione” sono armi spuntate se l’obiettivo è la trascendenza dal dolore, dalla paura di morire: sono strumenti imperfetti e fuorvianti che non giocano a favore dell’abbandono al presente e della serenità d’animo, se non della felicità. Questi ultimi si dimostrano traguardi più prossimi se si fanno entrare in gioco (“ illudere” ha questa etimologia) la poesia e la bellezza al a far le veci della “verità” che convergono verso una consapevolezza disposta, stoicamente, a  “sospendere il giudizio”. Si tratta di una trascendenza ontologica dell’Essere che in Leopardi si affianca a quella rappresentata dalla capacità di “mirare” e incarnare le infinite possibilità contenute nel “nulla”.

Questa evocazione del “metodo come forma dell’etica” ci conduce all’attualità del Salone del Libro di Torino, la cui apertura abbiamo salutato nel precedente articolo. L’edizione 2023 è già entrata negli annali e ha lasciato una traccia che fa riflettere e che secondo me,  avrà un’influenza così rilevante che anche gli editori di Heidegger che volessero pubblicare una riedizione di Essere e Tempo dovrebbero prendere in esame. In altri termini chi, modestamente e senza essere per forza un filosofo scrive saggi, a chi si deve rivolgere per avere uno straccio di recensione esperta che poi contribuisca a rendere appetibile (o meno) quel tipo di libri che non si possono leggere seduti sul water o tra le tazze della colazione o, meglio ancora, in video chat con un gruppo di amici?

A questa domanda, non so dare una risposta. Però ciò che conta, in breve, è  chiedersi quale piega prenda la politica editoriale e culturale, (voluta da certa “Accademia” , dalle Major del settore, dall’Ordine dei Giornalisti , dai Ministeri competenti e affini) se si adatta a ritenere i libri come una commodity, ovvero come una merce soggetta a pure regole di mercificazione dei beni e di finanziarizzazione dell’economia.

È noto che una logica “commerciale” radicale (quella che maggiormente agguanta tutto e subito, che “asfalta” la ricerca, l’avanguardia e le nuove proposte che ambiscono a “coltivare” la creatività umana) cambia continuamente bandiera, influenza e segue i flussi e le mode che “tirano”. Ciò, va detto, a prescindere dalla merce di cui promuove la vendita.

Per questo, il marketing dei libri sta cambiando. Preso atto che il passaparola rimane la formula più efficace, da alcuni anni è emersa la figura dei #bookinfluencer che svolgono il ruolo di intermediari, di facilitatori che alla descrizione del libro aggiungono un po’ di propria inventiva, simpatia, arguzia e originalità. Questo, reclutando folle di festanti ragazze e ragazzi tra i quali leggere è diventato cool. Per conto loro le Case Editrici hanno quantificato un notevole incremento delle vendite e di reputazione dei propri Autori (la prima ad accorgersene in Italia è stata Mondadori).

Quest’anno il Salone del Libro di Torino ha preso la palla al balzo e si è adattato alle rutilanti apparizioni mediatiche dei Bookinfluencer e dei Booktoker.

I segnali ci dicono che, da qualche anno, il modo di comunicare l’esistenza e la consistenza dei libri  sta cambiando, con grande sgomento di quegli scrittori che si ostinano a non colmare il loro digital divide e con grande soddisfazione dei cacciatori e raccoglitori di selfie da scattare con i beniamini del momento. La conferma ufficiale di questo cambio di paradigma è arrivata da Torino. Infatti, sostiene il sito di Tik Tok,  sono state contate circa 50 milioni di visualizzazioni ai contenuti condivisi con l’hashtag dedicato (#SalTo23) e “il Salone si consacra come il Salone della community di TikTok che l’ha animato, raccontato e reso unico attraverso migliaia di video”.

La piattaforma Cinese (accusata di riversare nei server dell’Intelligence Cinese dati sensibili carpiti agli iscritti al network con modalità illegali in Europa) sostiene che le preferenze dei Booktoker sono democratiche e influenzano le classifiche: non più solo i grandi gruppi editoriali, ma nuova linfa a Case Editrici più piccole (Always Publishing ha quintuplicato la distribuzione fisica nelle librerie) e ad Autori emergenti. Per esempio, Erin Doom è lo pseudonimo di una scrittrice che ha una storia interessante da raccontare anche in termini di filosofia del successo editoriale.

La promessa  di TikTok (e dei suoi concorrenti social come Instagram e Youtube, accusati di riversare nei server dell’Intelligence Americana dati sensibili carpiti agli iscritti al network con modalità illegali in Europa) è assai attraente ma, per sapere che cosa si saranno scambiati in modo così originale 50 milioni di visualizzatori che hanno marcato la loro impronta sulla conduzione tradizionale (dettata al Salone dai grandi Editori) delle transazioni librarie, sarà necessario lavorarci sopra, magari con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale, altro best seller del momento.

D’altro canto, 50 milioni di visualizzatori sono tanta gente e, a prescindere che tutti sanno che sulle dinamiche dei social possono essere determinanti i numeri gonfiati dai gestori, o gli strumenti automatici per moltiplicare i profili, i followers, i post e tanto altro.

Allora, viene da chiedersi quanta gente “reale” costituisce questa massa di avatar virtuali e, soprattutto, a quali generi di libri e di “modelli culturali” sono interessati? Oppure: se dovessero acquistare dei libri, queste persone preferirebbero gli acquisti on line o le librerie? E se dovessero frequentare le librerie, vorrebbero incontrare dei bravi e competenti librai o preferirebbero farsi guidare da un robot, in attesa del collegamento satellitare che trasmette un’immagine olografica dei loro bookinfluencer?

Il Salone del libro, insieme a un coordinamento delle Case Editrici ha tutte le carte per giocare un ruolo fondamentale in questa partita , ma torniamo alle premesse: La lettura, che oggi ha confini porosi con l’ascolto di un podcast, con i video, i testi delle canzoni, i videogiochi e affini sono delle commodities? Se si, allora continuiamo (as usual) a farci guidare dal libero mercato.

Altrimenti, se l’insieme costituisce anche l’opportunità di espressione di linguaggi, di modelli culturali, di generazioni e di generi, di una proposta creativa sviluppata da persone dotate di particolari capacità espressive, allora le cose cambiano.

Questo: perché le argomentazioni, le narrazioni e le tecnologie  strutturate vanno presentate e spiegate dagli editori agli scrittori e ai critici del linguaggio; dagli insegnanti agli studenti; dagli autori ai fruitori; dagli influencer ai loro followers. In effetti è doveroso,  perché non c’è peggior veleno da istillare nelle nuove generazioni che una strisciante disassuefazione al pensiero critico e autocritico. Questo è provocato dal nozionismo scolastico, dalla dispersione culturale, dalla superficialità e volatilità dei rituali, delle mode e, in modo infido e strisciante, dalla propaganda politica e dottrinaria.Interpretazione di: Alessio Tessitore

 

Conduzione: Filippo Montefusco

Interpretazione: Alessio Tessotore

Regia e montaggio di Peter Ranalli

Colonna sonora: Wim Mertens. Close Cover.

Interpretazione originale di Maria Gabriella Castiglione, contenuta nell’album Atmosphere1

L’immagine in evidenza è stata generata da DALL-E™ eseguendo il prompt: freedom in the style of Monet.

Il libro

“Praticare l’impermanenza per conquistare la libertà” è stato presentato al Salone del Libro di Torino 2021 e nasce dalla visione analitica e critica che Valerio Di Vincenzo ha sviluppato sull’idea del “vivere in salute”.

Il tema si presta a uno studio multidisciplinare che è giustificato dalla natura complessa del concetto di “salute” e del modo in cui – da millenni e dovunque – gli esseri umani si pongono il problema di come essa abbia un impatto sul “vivere” e sulla capacità di “essere” e di “fare”.

Il saggio stampato fa parte di una trilogia in fase di pubblicazione, i cui successivi volumi, sono intitolati : “Il linguaggio della promozione della salute. La sfida sistemica, per rimodellare la medicina” e “Tribalismo. Storia naturale del delicato equilibrio tra altruismo e defezione”.

Il volume è disponibile sul sito della Casa Editrice Il Filo di Arianna e sui principali bookstore online :Il filo di arianna ; La Feltrinelli ;  Amazon;  Mondadori; Libreria universitaria; Il Libraccio ;  Hoepli; Unilibro 

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