Nell’era del secondo mandato presidenziale di Donald Trump in America e nel mondo non c’è molto da ridere!

Il secondo mandato presidenziale di Donald Trump non ci fa ridere per niente, anzi. Eppure vale la pena approfondire l’argomento , se non altro perché , prima o poi, una risata seppellirà l’arroganza, l’egoismo, la violenza, l’intolleranza, il fondamentalismo religioso, la sete di vendetta di un elettorato e l’avidità di una schiera di “miliardari” poveri di spirito.

L’immagine a destra riproduce la foto segnaletica diffusa dall’Autorità dello Stato della Georgia che ha incriminato Donald Trump, ex Presidente degli USA e candidato alla carica per il Partito Repubblicano nel 2024, per una dozzina di capi d’accusa (legati a illeciti fiscali e alle sue iniziative eversive per ribaltare la sconfitta elettorale del 2020). Nella foto Donald Trump  punta lo sguardo dritto all’obiettivo, con il capo proteso, la fronte aggrottata, la mascella serrata e la cravatta rossa ben annodata: tutti simboli di aggressività e di desiderio di vendetta.

L’immagine a sinistra riproduce una foto di Kamala Harris (candidata democratica, sconfitta alle Presidenziali USA 2024) nella quale,di fronte alle telecamere, appare illuminata da una sua tipica mimica facciale. Si osserva che è l’espressione del riso spontaneo, caratterizzato, più che dalla posizione della bocca (più soggetta a un controllo volontario), dall’espressione “empaticamente rassicurante” degli occhi. Questa sensazione  dipende da un’espressione “ridente” che viene universalmente interpretata come un messaggio “onesto”, “leale”.

Il riso come strumento di interazione sociale [i]

Fausto Caruana ed Elisabetta Pelagi, nel libro citato, sviluppano una “teoria dell’interazione umana” fondata sulla concezione che il riso ha una natura comunicativa. Questa funzione primaria viene spiegata in base alla capacità del riso di creare un contesto che si proclama come “situazione sicura”e che ha una valenza sociale, “affiliativa” (volta al rafforzamento dei legami).

Gli Autori sostengono una teoria unitaria che rende conto dell’osservazione, in varie specie di animali tra cui l’uomo, di comportamenti che segnalano la volontà di chi, “ridendo” o “sorridendo”, “fa la prima mossa” per connotare la situazione in un modo tale da dirigere l’interazione verso un inviluppo pacifico che spesso annuncia la voglia di giocare, di divertirsi “allegramente” insieme,di moderare l’aggressività oltre che, talvolta (soprattutto nell’ambito di una relazione rigidamente gerarchica), di accettare una condizione di “prudenziale sottomissione”. Gli Autori riferiscono i risultati di ricerche effettuate nell’ambito delle neuroscienze e dell’etologia, offrendo chiare e approfondite evidenze di come il comportamento in esame si sviluppa per effetto dell’attivazione di complessi networks presenti nel Sistema Nervoso Centrale (SNC), a vari livelli. Ciò che conta è che essi sostengono una teoria unitaria che è in grado di includere quelle che ne hanno preceduto la formulazione e che hanno sostenuto concezioni mutuamente esclusive.

Tra queste: a) la “teoria della superiorità” secondo la quale il riso è primariamente “derisivo” (si ride “di qualcuno” più che “con qualcuno”). Al proposito gli Autori citano le risate delle divinità riportate nelle opere di Platone e Aristotele; il riso beffardo che, nei testi sacri della tradizione agostiniana, dileggiano i peccatori condannati alle pene dell’inferno; la teoria sostenuta da Thomas Hobbes secondo la quale il riso è evocato dalla “gloria improvvisa” che pervade chi ride di qualcuno o di qualcosa; quella sostenuta da Henri Bergson che interpreta il riso come forma di punizione di cui si serve la società per penalizzare l’inadeguatezza (intesa come l’agire impacciato, goffo e disfunzionale); b) la “teoria dell’incongruenza” secondo la quale ridiamo a causa dell’apprezzamento di qualcosa che viola le nostre attese, ovvero del paradosso che emerge dal confronto tra un’aspettativa e un fatto osservato. Questa spiegazione è stata enunciata da Immanuel Kant, mentre Arthur Schopenhauer ha affermato che ogni tanto capita che due oggetti diversi vengano erroneamente categorizzati sotto un unico concetto e il riso emerge quando, improvvisamente, scopriamo l’incongruenza tra l’esperienza percettiva e quella concettuale;Luigi Pirandello, a sua volta, ha sostenuto che l’incongruenza è alla base del comico e dell’umoristico. Nel linguaggio delle neuroscienze contemporanee, affermano Caruana e Palagi, questa teoria si basa sulla violazione del cosiddetto predictive coding il cui assunto principale è che il compito del cervello è quello di elaborare inferenze probabilistiche finalizzate a produrre una serie continua di previsioni che vengono sviluppate sulla base dell’esperienza passata e che vengono costantemente confrontate con i feedback sensoriali al fine di minimizzare l’errore di predizione in modo tale da considerare l’obiettivo “computazionale” del cervello non come la conferma di una previsione azzeccata, quanto come il piacere dato dal ridurre improvvisamente l’errore di previsione; c) la “teoria del sollievo” sostiene che il riso sia evocato da un improvviso rilascio di “energia”, di eccitazione da parte del sistema nervoso, a seguito di una tensione che viene sciolta in questo modo. Essa, secondo gli Autori e sebbene sia stata sostenuta da importanti filosofi come John Dewey, da psicologi come Nico Frijda (1990) e altri, viene ritenuta obsoleta dagli studiosi contemporanei (Caruana e Pelagi Pagg. 13-22 passim).

A ogni modo, nessuna di esse è in grado di spiegare tutti gli aspetti della “risata”.

Caruana e Pelagi, citando Robert Provine [ii] (Pag.26), si riferiscono all’uso di un’espressione ridente come alla “punteggiatura” che dichiara che i comportamenti devono essere interpretati in tal modo.

Il riso sociale ed emozionale, quella particolare vocalizzazione che trova riscontri oggettivi in molti animali e non solo nell’uomo, svolge un ruolo essenziale nel caratterizzare una forma di linguaggio volto ad attenuare l’aggressività. Esso chiede “concordia” utile a dar luogo a interazioni sociali connotate dal mutuo vantaggio derivante dall’instaurare, in un gruppo coeso, taciti accordi che aprono l’opportunità di creare un’atmosfera empatica, di utilizzare ritualmente “comportamenti di ripiego”, scappatoie cooperative alla prevaricazione del più forte sul più debole; emerge in uno specifico contesto sociale e apre l’opportunità di trovare un vantaggio nel cooperare (Pag.127).

Il riso sociale ed emozionale ha caratteristiche acustiche e visive specifiche, si presta a svolgere un ruolo nell’ambito della psicologia evoluzionistica. Gli studi etologici, condotti su un’ampia casistica di animali diversi, concordano con quelli antropologici riguardo al fatto che esso rappresenta una forma di “manipolazione prosociale a distanza” (Pag. 94) fondata su un linguaggio che annuncia la richiesta di stabilire un registro distintivo del significato del messaggio che viene scambiato e, quindi, una “chiave di lettura” che, metaforicamente, è assimilabile a innalzare la “bandiera bianca”. In base a questo presupposto gli studiosi contemporanei sostengono che il riso sia stato utilizzato dai primi ominidi come “protolinguaggio” (rozzamente articolato), che esso si sia evoluto nel linguaggio verbale e che, permanendo nelle sue funzioni “primitive”, abbia contribuito a rinsaldare i legami interni al gruppo di appartenenza e di sfruttare questa concordia per sviluppare strategie comunicative nei confronti di soggetti estranei al gruppo. [iii]

A supporto di questa teoria si osserva che il linguaggio, soprattutto quello parlato, associa alla funzione “informativa” quella manipolativa, cioè viene utilizzato molto spesso per influenzare il comportamento e le emozioni altrui, al fine di provocare una determinata risposta. Quando qualcuno ci fa il verso (magari accentuando una cantilena), o ci urla qualcosa (magari un’offesa), o pronuncia un modo di dire o una frase fatta (possibilmente in una lingua “gergale”) o, infine, dice qualcosa ridendo, il senso di quel messaggio non va cercato nel significato letterale della frase, ma nella reazione che vuole provocare (Pag. 92).

Inoltre, Caruana e Pelagi sostengono, ad esempio, che l’estensione della teoria unitaria dell’interazione sociale riesce ad includere quella della superiorità se si sceglie di analizzare lo scenario formato non da due, ma da tre persone. In questo caso la risata di scherno si situa alla base di una relazione in cui due individui concordano una strategia per vittimizzare un terzo (spesso usiamo il termine di derivazione inglese “bullizzare”). In questa situazione essa serve lo scopo duplice di rinsaldare la coesione tra i “bulli” e di aggredire la vittima del riso da più fronti. Da questa prospettiva si capisce la connessione tra la necessità di tenere basse le tensioni interne e quella di incentivare la cooperazione tra membri interni del gruppo e l’individuazione di un bersaglio/obiettivo comune che consente di utilizzare a questo scopo la discriminazione dello “straniero”.(Pag. 83-84 [iv]).

Nella nostra specie sono state individuate “due vie della risata”.

Il primo network del “comportamento ridente” fa riferimento alla “risata sociale, o emozionale”; ad essa sono designati una molteplicità di “centri nervosi”nell’SNC.

Lo stato attuale delle conoscenze dimostra che, sebbene essi siano associati a particolari “specializzazioni” in ciascuna delle componenti di tale tipologia di“riso” e, cioè, quella espressiva che governa la muscolatura facciale e la vocalizzazione; quella emozionale che fa rifermento alla sensazione di benessere e di piacere associata all’ilarità (mediata dal rilascio di oppioidi endogeni, dall’attivazione del sistema dopaminergico, dall’enterocezione somatica; Pag. 59; 68) e altre, sono collegati tra loro in vario modo e costituisco un sistema che integra i segnali sottoponendoli a “regolazioni”(feedback) positive o negative. Queste, per esempio,possono rendere irrefrenabile il riso sociale o, al contrario, consentono di reprimere la risata contagiosa (talvolta con effetti paradossali che possono portarci a ridere in tempi e luoghi inappropriati);oppure spiegano per quale motivo è più facile essere coinvolti da una risata emozionale quando si è in compagnia di altre persone che si stanno divertendo nello stesso modo rispetto a quando, da soli, si ripensa a situazioni memorabili per questa ragione. In aggiunta,ci si può trovare a sorridere osservando “facce contente”, per esempio guardando la televisione. D’altro canto,per la stessa ragione, ci commuoviamo fino alle lacrime quando i protagonisti della una scena di un film piangono per una perdita dolorosa. Si tratta del riconoscimento della cosiddetta “mimica facciale rapida” e del cosiddetto “effetto del contagio emozionale” per il quale siamo inconsapevolmente portati a percepire gli stessi sentimenti esternati da altre persone. All’origine c’è l’attivazione del meccanismo “percezione-azione” mediato dai cosiddetti “neuroni specchi” che sono alla base di una sincronizzazione comportamentale.

Il secondo tipo di riso (con emissione di un suono) e di sorriso, cosiddetti “volontari” (o, anche “a comando”), seguono una strada diversa dal primo, sebbene con questo il secondo condivida alcuni centri nervosi (per esempio, quelli deputati alla componente espressiva),alle conseguenti mimiche facciali e alle manifestazioni comportamentali che promuovono le funzioni affiliative, di divertimento, di dominanza o di ostracismo (Pag. 60). Esso ha la caratteristica di dipendere maggiormente dall’intenzione(più o meno cosciente e, comunque, condizionata dal tipo di interazione sociale) di attuare una strategia comunicativa attraverso una simbologia che (al pari del primo tipo di riso) ha caratteri universali e immediati (Pagg.60, 100). La distinzione tra le due vie della risata è chiara pensando alle situazioni in cui, da un lato, si viene coinvolti (in un contesto sociale di serena cordialità) in una risata sociale che può diventare contagiosa per effetto di una battuta di spirito (humor), di uno scherzo ben riuscito o di una barzelletta; dall’altro, si ride (e, soprattutto, si sorride) per gentilezza, per compiacenza, per annunciare agli interlocutori, che si sta ironizzando o, per lo più, che “l’intenzione è pacifica”e che la “situazione è sicura”. Gli Autori fanno notare che quest’ultimo canale espressivo è culturalmente connotato (per esempio, gli Inglesi, prima sorridono e poi si pronunciano cordialmente, gli Italiani seguono una procedura ribaltata)e che, in ossequio alla sua natura intenzionale, può essere utilizzato per dissimulare i propri sentimenti, per “mentire” o per provocare una tensione relazionale (per esempio, è “volontario” il “riso sprezzante”).

 

 

[i] Vedi:Fausto Caruana , Elisabetta Palagi. Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Casa Editrice Il Mulino (2024).
[ii] Vedi: Robert .R. Provine. Laughter: A Scientific Investigation. New York. Viking (2000). Inoltre, vedi l’articolo pubblicato sulla rivista American Scientis. Gennaio-Febbraio 1996 e reperibile al URL: https://www.researchgate.net/publication/232489851_Laughter_A_Scientific_Investigation
[iii] Charles Darwin aveva intuito che il riso non poteva essere un comportamento inedito dell’uomo, sostenendo che “possiamo confidare nel fatto che il riso […] fosse praticato dai nostri progenitori molto prima che meritassero di essere chiamati esseri umani” (Pag. 23).
[iv] Caruana e Pelagi a questo proposito citano Fabio Ceccarelli. Sorriso e riso. Saggio di antropologia biosociale. Einaudi (1988).